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Spesso si è portati a ritenere che sia vittima di reato solo la donna che venga abitualmente percossa o malmenata dal marito o dal compagno.

E' bene aver chiaro, però, che non è così.

Anche i continui comportamenti umilianti e le manifestazioni di disprezzo da parte del coniuge o del convivente che obblighino la vittima ad un regime di vita insostenibile, possono configurare il reato di maltrattamenti in famiglia.

Ed infatti, l'art. 572 del codice penale -che vieta le condotte di maltrattamenti- non si riferisce solo alla lesione dell'integrità  fisica ma anche di quella morale, anche alle ipotesi cioè di abituali e ripetute offese al "patrimonio morale" delle vittime.

Sul punto si è così espressa la sentenza di merito in commento, di cui sono riportati alcuni passaggi, emessa il 17 ottobre 2017 e depositata appena lo scorso 21 novembre dal Tribunale di Napoli, in composizione Monocratica.

In virtù della ricostruzione offerta dalla vittima (assistita in giudizio dall'avv. Mauro Tornincasa), l'imputato è stato condannato per aver sottoposto la sua ex moglie ad un regime di vita insostenibile anche in ragione delle continue ingiurie, minacce e offese alla sua dignità e integrità morale.

La sentenza, dunque, appare rilevante perché evidenzia alcuni aspetti che tutte le vittime di violenza all'interno delle mura domestiche dovrebbero avere ben chiari:

  • contrariamente a quello che può pensarsi, la loro dichiarazione può bastare, da sola, per la condanna:

"Gli elementi probatori raccolti fanno, quindi, ritenere che l'attuale imputato abbia commesso i reati a lui ascritti in rubrica.

La prova si basa principalmente sulle dichiarazioni rese dalla citata persona offesa "omissis". In proposito la giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito che la deposizione della persona offesa può, anche da sola, essere posta a fondamento di una sentenza di condanna, per il valore equiparato a quello di una testimonianza che il legislatore attribuisce alla stessa.

[...]

La persona offesa, però, è pur sempre portatrice di un  interesse antagonistico a quello dell'imputato, per questo è richiesto che la sua testimonianza sia sottoposta a un vaglio particolarmente rigoroso in ordine alla sua credibilità soggettiva e oggettiva (...) Qualora, però, la deposizione della persona offesa superi tale vaglio critico, facendo ricorso, se del caso, a qualsiasi elemento di controllo ricavabile dal processo, la stessa può essere assunta anche da sola come fonte di prova."

  • la condotta punibile non deve consistere necessariamente in aggressione fisiche ma può anche riguardare abituali condotte vessatorie o manifestazioni di disprezzo lesive del patrimonio morale della vittima:

"Aggiungeva poi che la moglie non aveva capito che contro di lui non l'avrebbe spuntata, poiché la teneva in pugno. Le percosse, inoltre, furono sostituite con gli spintoni, con lo sputare addosso e con le ingiurie, atteso che la "omissis" era spesso apostrofata di essere pazza e di essere spacciata.

Dal 2009 al 2013 tali condotte accaddero con una frequenza di quattro cinque volte l'anno.

[...]

Orbene, la situazione delineata dalle sentenze citate è proprio quella ricorrente nel caso in esame. La persona offesa, infatti, ha riferito che i fatti lesivi della sua integrità fisica e del suo patrimonio morale - continue aggressioni fisiche, minacce, ingiurie e frasi offensive - si sono verificati con una frequenza sempre maggiore dalla ripresa della convivenza nel 2005 e fino al 2013, rendendole la vita insostenibile.

Ad avviso di questo giudice, la valutazione complessiva della natura e della reiterazione degli episodi è sufficiente a integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia."

  • l'abitualità  della condotta può riguardare anche un periodo limitato e le "parentesi di normalità" non escludono il reato :

"Il reato inoltre, non è escluso dalla circostanza che nel tempo considerato, anche limitato, vi siano parentesi di normalità nella condotta dell'agente e di ripresa di normali rapporti familiari (...)"

  • non è necessario che l'autore delle violenze sia il coniuge o il convivente:

"Si deve, infine, precisare che "ai fini della configurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia non è necessaria la convivenza o coabitazione, essendo sufficiente che intercorrano relazioni abituali tra il soggetto passivo e quello attivo, dal momento che oggetto di tutela dell'art. 572 c.p. sono le persone  della famiglia, ove per famiglia non si intende soltanto un consorzio di persone avvinte da vincoli di parentela naturale o civile, ma anche una unione di persone tra le quali, per intime relazioni e consuetudini di vita, siano sorti legami di reciproca assistenza e protezione e di solidarietà" (così Cassazione penale, Sez. V, 03/03/2010, n. 24668, S.A."


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Il nuovo articolo 131 bis c.p. prevede espressamente la non punibilità per quei reati, che, anche in virtù delle modalità con cui sono stati commessi, abbiano determinato un'offesa particolarmente tenue.

Ed infatti, a tal fine, la norma individua, però, per la sua applicazione, alcuni specifici presupposti e limiti.

Il reato commesso non deve essere di particolare allarme sociale: questa causa di non punibilità, infatti, è applicabile ai reati cosiddetti "minori", per i quali è prevista la sola pena pecuniaria oppure la pena detentiva nel massimo di quattro anni, sola o congiunta alla pena pecuniaria.

Non solo: il comma 5 dell'art. 131 bis, specifica anche quando ed a quali condizioni le circostanze del reato siano ostative all'applicazione della tenuità del fatto.

La norma, peraltro, individua anche specifici casi nei quali l'offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità.

E ciò quando:

1) l'autore del reato ha agito per motivi abietti o futili;

2) l'autore ha agito con crudeltà, anche in danno di animali;

3) ha adoperato sevizie;

4) ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all'età della stessa;

5) la condotta ha cagionato (o da essa sono derivate) quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona.

Altro elemento che esclude l'applicabilità di questa nuova causa di non punibilità è la abitualità del comportamento del colpevole, così come definita al comma quarto dell'art. 131 bis c.p.


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Con la sentenza di merito allegata, l’imputato, assistito dall’Avv. Mauro Tornincasa, è stato assolto dall’accusa di omesso versamento delle ritenute certificate per l'importo di 1.644.403,48 euro giacchè “come correttamente rilevato dalla difesa … in relazione al reato di cui all art 10 bis prima della novella del 2015 fattispecie che qui viene in rilievo essendo la contestazione del 2008, va esclusa la responsabilità penale in ipotesi di mera omessa presentazione della dichiarazione annuale ove non accompagnata e non ne emerga la prova dal rilascio della certificazione di avvenuto versamento. In tal senso depone in senso chiaro il dato testuale della norma incriminatrice in parola.

Nel caso che ci occupa nè la documentazione acquisita e neppure l’istruttoria orale hanno fatto emergere la prova delle certificazioni attestanti le ritenute operate dal datore di lavoro. Nè tale dato può ricavarsi dal solo contenuto della dichiarazione modello 770 proveniente dal datore di lavoro”.


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Iniziamo col dire subito che il testo approvato dalla Camera non è ancora legge dello Stato.
In sintesi e in termini meno tecnici possibili, si svolgono alcune osservazioni:
1. E' stato ipotizzato un nuovo secondo comma all'art. 52 c.p.: «Fermo quanto previsto dal primo comma, si considera legittima difesa, nei casi di cui all’articolo 614, primo e secondo comma, la reazione a un’aggressione commessa in tempo di notte ovvero la reazione a seguito dell’introduzione nei luoghi ivi indicati con violenza alle persone o alle cose ovvero con minaccia o con inganno»
Dalla lettura costituzionalmente orientata della norma e diversamente da quanto si legge in questi giorni, la legittima difesa cd "domiciliare - notturna", in ragione del suo stesso incipit, non pare porsi al di là dei limiti della "semplice" legittima difesa (attualità del pericolo, necessità e proporzionalità all’offesa).
Se così è, però, viene da chiedersi se si tratti di una norma realmente innovativa o sia l'ennesimo frutto di una legislazione slogan.
Al contempo, non possono non muoversi rilievi in ordine all'attuale formulazione della norma ed al discutibile rispetto del principio di tassatività e determinatezza della stessa, specie in relazione al riferimento al "tempo di notte"!
2. E' stato ipotizzato un nuovo quinto comma all'art. 59 c.p.: «Nei casi di cui all'articolo 52, secondo comma, la colpa dell'agente è sempre esclusa quando l'errore è conseguenza del grave turbamento psichico causato dalla persona contro la quale è diretta la reazione».
Si badi, la norma è inserita nell'articolo del c.p. riguardante la legittima difesa c.d. "putativa" e non in quello dell'eccesso colposo (art. 55 c.p.), dove forse avrebbe avuto maggior senso ed applicazione pratica.
Per essere più chiari.
Nel caso di legittima difesa putativa, se l'agente ritiene per errore che esista una situazione riconducibile alla legittima difesa, in realtà inesistente, questa trova comunque applicazione a suo favore.
Nel caso però, che l'errore sia dovuto a colpa dell'agente (negligenza, imprudenza o imperizia), questi ne risponderà comunque, sempre che si tratti di delitto colposo (come nel caso classico dell'omicidio).
Ebbene, nel caso introdotto dalla nuova norma, se l'errore è determinato dal grave (?!) turbamento provocato dal presunto aggressore, non vi sarà alcuna responsabilità neppure a titolo di colpa. 
Beh, se questa è l'ipotesi della nuova norma, appare francamente complicato pensare che sia realizzabile un caso del genere.
Ma al di là di ciò, viene da chiedersi se non sarebbe stato meglio estendere il caso anche all'eccesso colposo, e cioè all'ipotesi in cui, l'agente, pur trovandosi innanzi ad una situazione di legittima difesa, ne ecceda per colpa i limiti dell'attualità, della necessità e della proporzionalità all’offesa.
 

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All'indomani della "diplomatica" ordinanza della Corte Costituzionale, con la quale la questione relativa alla applicazione della Taricco è stata rinviata alla CGUE, iniziano a delinearsi le prime sentenze di merito in linea con i principi comunque sanciti dalla Corte Costituzionale.

Invero, la Corte, nel rinviare la questione alla Corte di Giustizia, ha comunque fortemente ribadito i principi applicabili nel nostro ordinamento costituzionale in tema d prescrizione e principio di legalità:

  • “se l’applicazione dell’art. 325 TFUE comportasse l’ingresso nell’ordinamento giuridico di una regola contraria al principio di legalità in materia penale, come ipotizzano i ricorrenti, questa Corte avrebbe il dovere di impedirlo”;
  • “il tempo necessario per la prescrizione del reato e le operazioni giuridiche da compiersi per calcolarlo devono essere il frutto dell’applicazione, da parte del giudice penale, di regole legali sufficientemente determinate”: “in caso contrario, il contenuto di queste regole sarebbe deciso da un tribunale caso per caso, cosa che è senza dubbio vietata dal principio di separazione dei poteri di cui l’art. 25, secondo comma, Cost. declina una versione particolarmente rigida nella materia penale”.

E' proprio partendo da queste argomentazioni, che si sviluppa la sentenza in commento, con la quale, il GUP del Tribunale di Ravenna, Dott. Piervittorio Farinella (3 aprile 2017 -ud. 6 marzo 2017-, n. 142), al di là degli esiti del rinvio pregiudiziale, ha disposto la prescrizione di un procedimento per gravi fatti di frode fiscale in astratto riferibili ai casi ipotizzati dalla sentenza Taricco.


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La Legge 20 maggio 2016, n. 76, meglio nota come Legge Cirinnà, ha istituito “l'unione civile tra persone dello stesso sesso quale specifica formazione sociale ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione”.

La norma rappresenta dunque una rivoluzione per il nostro ordinamento.

Quello che è noto a tutti è che la Legge, sebbene ridimensionata rispetto all’impianto iniziale, ha espressamente riconosciuto alcuni dei “diritti” civili da sempre rivendicati dalle coppie omosessuali.

Quello che, invece, forse, non tutti sanno è che la norma disciplina anche una serie di obblighi.


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La V sez. della Suprema Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 21407, depositata lo scorso 23 maggio ha chiarito che anche l’utilizzo disinvolto e sistematico di facebook per diffamare o minacciare, può concretizzare il reato di “atti persecutori” ex art. 612 bis c.p. (c.d. stalking ).

Potrà configurarsi il delitto di stalking laddove queste condotte, ripetute nel tempo, insieme con altre azioni persecutorie, determinino nella persona offesa un perdurante e grave stato di ansia, di paura o anche solo il timore per l’incolumità propria e/o dei congiunti tanto da indurla a modificare le proprie abitudini di vita.

Così la Cassazione:


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La Commissione Giustizia del Senato, lo scorso 4 maggio, ha adottato il testo unificato del disegno di legge n. 2067, con il quale sono previste le modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all'ordinamento penitenziario.

Il testo è visionabile sul sito del Senato della Repubblica al link http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=17&id=00972575#

Ovviamente, si tratta di un disegno di legge ancora all'esame della Commissione, per cui, pur rimandando alla lettura dello stesso, si segnala in questa sede:


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Sì segnala la sentenza n. 17418 della III sez. della Suprema Corte, depositata lo scorso 28 aprile. Confermando un precedente orientamento, la Cassazione ha ribadito la possibilità del concorso del commercialista nel reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti di cui all'art. 8 D.Lgs. 74/00. Ciò nel caso in cui sia provato che il professionista abbia contribuito, in qualsivoglia modo, alla creazione del meccanismo fraudolento che ha consentito di ottenere false fatture emesse dalla società cartiera da inserire in dichiarazione per abbattere l'imponibile societario. E ció indipendentemente dalla circostanza che poi le stesse siano state o meno inserite in contabilitá: si tratta infatti di reato di pericolo, che, diversamente dall'ipotesi di utilizzo di false fatture, di cui all'art. 2 D.lgs 74/2000 non richiede per la sua sussistenza, l'inserimento delle false fatture in contabilitá.


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LA CORTE COSTITUZIONALE, con sentenza n. 56 del 11.1.2016/23.3.2016, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 181, comma 1-bis del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), nella parte in cui prevede «: a) ricadano su immobili od aree che, per le loro caratteristiche paesaggistiche siano stati dichiarati di notevole interesse pubblico con apposito provvedimento emanato in epoca antecedente alla realizzazione dei lavori; b) ricadano su immobili od aree tutelati per legge ai sensi dell’articolo 142 ed».

Ne consegue la parificazione della risposta sanzionatoria (secondo l’assetto già sperimentato dal legislatore al momento della codificazione), con la riconduzione delle condotte incidenti sui beni provvedimentali alla fattispecie incriminatrice di cui al comma 1, salvo che, al pari delle condotte incidenti sui beni tutelati per legge, si concretizzino nella realizzazione di lavori che comportino il superamento delle soglie volumetriche indicate al comma 1-bis.

Pertanto, le condotte sino ad oggi integranti il più grave delitto, ex art. 181, c. 1 bis, lett. a, salvo i casi di volumetria di cui alla lett. b, rientreranno nella più tenue ipotesi contravvenzionale, con la possibilità di applicare ad esse anche l'estinzione in caso di rimessione in pristino, di cui al comma 1 quinquies.


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